Dalla Moldavia con un visto per il marciapiede

Stasera fa freddo, perché andate in giro?». Roma, via Tiburtina. Come tutte le notti, Olga (chiamiamola così) attende di vendere il proprio corpo. L’unità di strada del comune fa le sue ronde, va a trovare le tante donne che affollano i lati delle consolari, le informa sui servizi sanitari che fornisce, distribuisce preservativi, porta quella novità che a volte spezza il circolo. «Avete un po’ di tè caldo?», sorride Olga. Ha lo sguardo sicuro e maturo di chi la strada la conosce da tempo. Olga non appartiene al gruppo delle giovani, vive in Italia già da qualche anno. Viene dalla Moldavia, dove ha lasciato due figli in affidamento. Dopo un primo periodo di soprusi e violenze, ora ha trovato un suo equilibrio e riesce più o meno bene a gestire la propria vita. Non è più costretta a prostituirsi, ma lo fa per mantenere la nuova famiglia che si è creata. A Roma convive con un uomo, da cui ha avuto un bambino, che ogni sera mette a letto prima di vestirsi per la notte. «Non è una bella vita, ma è meglio di prima», sospira. Accanto, una ragazza un po’ impaurita ascolta in silenzio. Anche lei attende la macchina di turno. «È arrivata da poco in Italia, non parla la lingua, così le do una mano», spiega Olga. E tutto lascia pensare che la donna faccia un po’ da «protettrice» alla giovane inesperta, magari prendendosi una percentuale sui guadagni. Olga è una delle migliaia di donne arrivate nell’ultimo decennio dall’Europa dell’est e finite a prostituirsi sulle nostre strade. La maggior parte di loro è moldava, ma ci sono anche rumene, ucraine, bulgare e albanesi ad affollare quei marciapiedi oggi quasi completamente egemonizzati dalle donne immigrate. Le prime in ordine di tempo ad arrivare, sostituendosi alle prostitute italiane, sono state le albanesi, sull’onda della crisi economica che ha colpito il paese balcanico all’inizio del decennio scorso. Ma oggi il loro numero è sostanzialmente diminuito. «La causa principale di questo ridimensionamento – spiega Federica Gaspari, operatrice dell’unità di strada del progetto Roxanne del comune di Roma – è l’accresciuta consapevolezza tra le donne albanesi di ciò che le attende in Italia, grazie anche alle massicce campagne di informazione effettuate nel loro paese». Situazione che ha costretto le bande malavitose, spesso piccoli gruppi composti da un paio di uomini, soprattutto di origine albanese, a modificare il bacino di reclutamento, spostandolo verso altri stati dell’ex blocco comunista, Moldavia in testa. Qui sono molte le ragazze che, nella speranza di una vita migliore, decidono di partire. Alcune credono alle promesse di lavori «normali» e si scontrano con la realtà più misera solo una volta arrivate in Italia. Altre, invece, arrivano decise a battere per strada qualche mese per poi tornare a casa e magari ripetere l’esperienza successivamente.

Il business dei falsi tour operator.
Le modalità di contatto nei paesi d’origine sono le più varie, dal reclutamento di donne già interne al mercato della prostituzione locale, alla cooptazione attraverso piccole agenzie che vendono falsi visti Schengen. Nel primo caso, i magnaccia avvicinano donne giovani e carine che già lavorano nei tanti locali notturni del posto, proponendo loro migliori prospettive di guadagno nei paesi dell’Europa occidentale. Molte accettano, partono, ma a volte si scontrano con una realtà assai meno allettante di quanto si fossero immaginate. «Arrivate qui in Italia, parecchie giovani, che pure lavoravano nel mercato del sesso a pagamento nel loro paese, non sopportano le vessazioni a cui vengono sottoposte dai loro sfruttatori», spiega Doina Babenco, responsabile dell’Istituto di cooperazione e sviluppo Italia-Moldavia (Icsim), un’associazione impegnata nell’assistenza agli immigrati arrivati sul nostro territorio dal piccolo paese dell’est. «Costrette a prostituirsi sette giorni su sette, anche durante il ciclo mestruale, vorrebbero tornare alla loro vita precedente, dove i minori guadagni erano compensati da una maggiore autonomia. Si sentono ingannate, abbandonate, completamente isolate da un mondo che le sfiora soltanto attraverso i clienti».

La Moldavia è oggi il nuovo terreno vergine per il mercato del sesso occidentale. Con un Prodotto interno lordo (Pil) annuo pro capite di 340 euro, il paese non è in grado di fornire sbocchi lavorativi a una popolazione che registra uno dei tassi di scolarizzazione più alti dell’Europa orientale. E così negli ultimi anni, dopo la caduta della cortina di ferro e la proclamazione dell’indipendenza, c’è stato un vero e proprio esodo di massa. Basta leggere i giornali per capire che quello dell’emigrazione è un settore che tira: un po’ ovunque sulla stampa annunci ben visibili propongono viaggi in Europa e un lavoro da 800 euro al mese. In molti casi sono promozioni delle cosiddette «agenzie di viaggio», pallida copertura per vere e proprie associazioni a delinquere che gestiscono il traffico clandestino delle donne destinate alla prostituzione.

In Moldavia, dove il settore turistico tradizionale non è certo sviluppato, ce ne sono circa 1300. Propongono diverse formule: si occupano solo del visto o forniscono il pacchetto completo, trasferimento e lavoro in Europa. In alcuni casi le donne partono con la consapevolezza che verranno a prostituirsi, in altri vengono fatte loro balenare prospettive di lavori normali, come infermiera o baby-sitter.

«Le rotte di questi traffici sono ormai abbastanza note – afferma Francesco Carchedi, responsabile dell’associazione Parsec, impegnata tra le altre cose nel contrasto alla prostituzione coatta -. Esistono i paesi “fornitori”, come Russia, Polonia, Ucraina, Romania, Moldavia e Albania; i paesi di transito, come gli stati dell’ex Jugoslavia e la stessa Albania; e i paesi destinatari: l’Italia, la Germania, la Francia». È difficile calcolare con precisione l’ammontare complessivo di tale flusso migratorio, ma secondo stime approssimative del ministero delle pari opportunità, ogni giorno sulle strade italiane si prostituiscono circa 50mila donne immigrate, per un giro d’affari che si calcola intorno ai 100 milioni di euro al mese. Le associazioni presentano stime più contenute, ma comunque allarmanti: un numero di prostitute compreso tra le 15mila e le 20mila unità. I tragitti che queste ragazze devono percorrere sono spesso lunghi e tortuosi. Molte giovani dell’est si trovano catapultate in Russia, dove viene loro dato un passaporto falso per attraversare mezza Europa – Bielorussia, Polonia, Germania – alla volta del Mediterraneo. Altre dall’Ucraina arrivano in Moldavia, attraversano la Romania per poi approdare in Italia o in Turchia.

Tra ricatto e consenso.
Giunte nel nostro paese, vengono poi istradate alla prostituzione: a questo punto, coloro che avevano creduto alle promesse illusorie delle agenzie scoprono qual è il lavoro che le attende e si rendono conto che, pur volendo, non possono sottrarsi. Strette nella morsa del debito, contratto proprio con quelle agenzie che le hanno ingannate a casa, non hanno altra scelta che accettare di vendere il proprio corpo. «C’è voluto del tempo prima che io riuscissi a restituire i soldi che mi avevano anticipato – ricorda Olga -. Solo allora ho ricominciato a vivere». Il debito è il coltello nelle mani degli sfruttatori, la morsa che lascia le donne senza altra scelta. In alcuni casi, si tratta di un tacito patto in base al quale la ragazza accetta di lavorare in strada alle dipendenze di qualcuno per risarcire i costi del viaggio e del soggiorno e intascare il resto. In altri, invece, si può parlare di vera e propria tratta: irretita da false promesse, la donna si trova intrappolata in un meccanismo perverso, che la trasforma in schiava del sesso.

Sorvegliata a vista, costretta a guadagnare cifre altissime, vende i propri servizi sessuali a decine di persone ogni giorno. Una situazione di pesante costrizione, rispetto alla quale spesso la sola via di fuga sono proprio i clienti, l’unico reale legame che queste donne hanno con il mondo esterno. In effetti, è spesso dalle relazioni con clienti affezionati o innamorati che traggono le risorse materiali e la complicità per portare a termine la fuga, avvalendosi poi in alcuni casi degli strumenti previsti dall’articolo 18 della vecchia legge sull’immigrazione (vedi box nella pagina). Cifre precise per valutare il peso dei clienti «salvatori» non esistono, ma è indubbio che questi rappresentino il principale canale di fuoriuscita dal giro.

Trampolino di lancio verso un cambiamento radicale di vita, non sempre l’uomo rappresenta veramente la salvezza. In alcuni casi la morbosità del rapporto che l’ex cliente instaura con la ragazza diviene così asfissiante che la giovane si vede costretta a fuggire per la seconda volta, mentre non mancano le situazioni in cui la donna ritorna sul marciapiede per soddisfare le necessità del nuovo protettore. Altre volte, tuttavia, tutto va liscio e può accadere che, anche nella vita di tutti i giorni, la favola di Pretty woman diventi realtà.